Recentemente mi è stato chiesto di fare una ricerca sul DDL 112/2016 (la famosa legge del Dopo di noi) ma, soprattutto, sull’istituto del Trust, usato espressamente dalla legge. Qui alcune mie considerazioni alla fine della ricerca. Ovviamente non ho la presunzione di essere nel giusto. Non sono un avvocato, né tanto meno un esperto di trust. Faccio solo alcune mie considerazioni, e francamente spero di sbagliare.
In Italia non ci sono molte leggi a tutela della disabilità: c’è la famosa legge – quadro 104 del 1992, che delinea tutta una serie di diritti del disabile, la legge 169 del 1999, che estende la legge della 104, ma soprattutto la legge 328 del 2000, rivolta esplicitamente alla tutela dei disabili gravi e gravissimi, e che ha per oggetto il sistema integrato di interventi per i servizi sociali.
Tuttavia questa è una legge di riforma dei servizi sociali, e non focalizzata essenzialmente sul disabile. In quanto alla 168, si rivolge a un tipo di utenza particolare, con normali facoltà di autodeterminazione ma capacità motorie estremamente limitate. Ma soprattutto nessuna di queste leggi tocca l’aspetto patrimoniale.
Quella delineata dalla legge 112 è certamente un tipo di tutela “forte”, rivolta ad una categoria di utenza priva, a causa delle proprie patologie, della capacità di autotutela. Parlo, ad esempio, degli autistici gravi. Finora le alternative per la loro assistenza non erano molte: nella famiglia, qualora il disabile avesse la possibilità di essere assistito da un parente, o l’istituzionalizzazione del disabile stesso. Per la gestione patrimoniale sarebbe stato delegato dal tribunale un amministratore di sostegno che aveva soltanto potere di gestione dei beni patrimoniali del disabile. In ultimo ci sono le case famiglia.
Certamente il trust riflette la visione anglosassone della natura privata di qualsiasi contrattazione economica, sia nel caso di una impresa che di un accordo privato tra persone fisiche, come nel caso della disabilità. Infatti il terzo settore è solo un ambito di applicazione del trust, che nei paesi anglosassoni è un istituto fondamentale.
Quello che fa il trust è di semplificare estremamente i rapporti economici. C’è un tutelato (il truster), un tutore (il trustee) e un controllore (il guardiano), senza altra mediazione. Entrambi, poi, sono nominati dal diretto interessato e hanno l’unico scopo di fare gli interessi di quest’ultimo; e la stessa legge 112 lo dichiara esplicitamente. D’altra parte “trust” significa, tra le altre cose “fiducia”, il che comporta che questo è un rapporto fiduciario che si instaura con un preciso scopo, che nel nostro caso è l’interesse del disabile. Mancando questo si va contro la stessa natura del trust e si entra nell’ipotesi di reato di appropriazione indebita.
Certamente in questa legge ci sono molti aspetti positivi, a cominciare dall’idea della deistituzionalizzione e della costituzione di un fondo in favore della persona disabile. Questo non sarà solo formato, a livello centrale, “ritagliando” una percentuale d’introiti provenienti dalla tassazione (come si è sempre fatto), ma provvederanno anche regioni a incrementarlo, e si potranno anche stipulare accordi privati allo scopo di aumentarne la dotazione. Inoltre lo stato di attuazione della legge dovrà essere verificato triennalmente.
A livello personale il tutto concorre alla creazione del fondo: aiuti statali e regionali, beni in possesso dello stesso disabile, operazioni successive all’instaurazione del rapporto di trust. Questo comporta che, mentre l’amministratore di sostegno ha semplicemente l’obbligo di amministrare i tuoi beni per un periodo più o meno lungo, in un certo senso “congelandoli” fino a che il legittimo proprietario non ne rientra in possesso, col trust è anche possibile incrementare il fondo (ovviamente, però, sempre finalizzando al superiore interesse del tutelato).
Ma qui casca l’asino. Il problema, in questo caso, non è tanto il trust, quanto il suo uso in senso malevolo. La flessibilità, punto forte del trust, potrebbe anche essere il suo limite.
Nella mentalità anglosassone, certamente più pragmatica, non si vogliono molti ostacoli negli affari. Un amministratore con ampi poteri e un controllore del suo operato (dopo tutto i ladri sono pure in Inghilterra) bastano. Chiaramente il patrimonio viene affidato a gente di fiducia che si adopererà non solo per conservare, ma anche per incrementare il fondo. I vantaggi fiscali sono notevoli.
Però siamo in Italia. Innanzi tutto, visto che il trust è un rapporto fiduciario, è il caso di stare bene in guardia. La legge è rivolta a disabili “privi” di sostegno famigliare, non di famiglia. Magari il disabile ha una sorella che, per casini suoi, non può prendersi carico degli interessi del fratello. Tuttavia il famigliare sarebbe bene che sia attivo in questo rapporto, se non assumendo il ruolo di tutee, perché magari privo di competenze, almeno il ruolo di guardiano, visto che, data la semplicità del rapporto, privo di mediatori (mentre nel caso dell’amministratore di sostegno il rapporto è mediato dal tribunale).
La legge parla di de istituzionalizzazione, e questo esclude che case di cura o altri istituti possano direttamente ricoprire il ruolo di tutee (tramite un loro incaricato ovviamente). Forse lo stesso limite è per le case famiglia. Ma nulla vieta che un istituto possa gestire delle abitazioni private. Fatta la legge trovato l’inganno.
E questa, a parer mio, è la prima anomalia. Certo, come detto gli Istituti non possono gestire direttamente il rapporto (e infatti si stanno muovendo per creare abitazioni gestite solo indirettamente da loro), e d’altra parte lo stesso trust non esclude che il tutelante possa essere un’associazione o un ente. Tuttavia si tratta sempre di un accordo di natura privata. In questo accordo gli attori sono: il beneficiario, la struttura privata, la famiglia. Proprio a quest’ultima deve essere affidato l’onere del controllo.
Ho fatto l’esempio di una sorella che svolga il ruolo di guardiano. Questo non è vietato. Tuttavia anche questo, in genere, è un ruolo svolto da un’altra persona, espressamente indicata, insieme al trustee, dal truster (che, ovviamente, non può essere direttamente il disabile). Sarà lui a “controllare” l’operato del guardiano. Se questo svolgerà bene le sue funzioni, automaticamente sarà chiaro che il trustee agisce unicamente nell’interesse del disabile.
Per questo mi chiedo se il trust sia un mezzo di tutela o non debba essere, invece, un ulteriore strumento al quale possa ricorrere un amministratore. Il trust è un istituto molto pericoloso che richiede una partecipazione attiva. Per questo non sarebbe assurdo se in futuro soggetti che usufruiscono di progetto di Vita Indipendente possano ricorrere all’istituto del trust.
Alcune considerazioni sul Dopo di noi
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