Questa potremmo definirla la “risoluzione dei parametri”, in quanto, al di là dei discorsi filosofici, cerca di dare delle definizioni chiave che possano fungere da parametri oggettivi per la Vita Indipendente.
La prima definizione è quella di “disabilità”, intesa certo come una limitazione fisica alle attività personali e sociali, ma che non dimentica neanche il peso del fattore sociale della discriminazione.
Secondariamente si preoccupa di evitare qualsiasi interpretazione fuorviante dell’espressione “Vita Indipendente”, la quale non può sussistere se non si osservano i suoi principi basilari: autodeterminazione e democrazia, solidarietà, aiuto alla pari, de – istituzionalizzazione.
Con la prima espressione si intende dire che sono da evitare le classiche associazioni che pretendono di fare gli interessi del disabile, ma senza questi vengano minimamente consultati. In ogni associazione, egli deve essere un componente attivo, capace di votare e di esprimersi (chiaramente nei limiti delle proprie capacità). Egli deve essere consultato come parte attiva del gruppo.
Il secondo è coerente con l’articolo 2 della Dichiarazione ONU dei diritti dell’uomo per quanto riguarda il principio di non discriminazione. Le associazioni hanno come fine la piena determinazione dell’individuo, e pertanto non solo devono lavorare in tal senso, ma devono anche collaborare tra di loro al fine di assicurare la Vita Indipendente, riconosciuta come diritto inalienabile. Per questo le associazioni devono distribuire e scambiare le loro informazioni con qualsiasi supporto necessario.
Il principio di “aiuto alla pari” è proprio il fondamento della Vita Indipendente, riassunto nel motto “nulla su di noi senza di noi”. Qualsiasi sostegno dato al disabile che voglia essere indipendente non parte dell’alto, ma è dato da altri che sono in situazione simile alla sua. L’aiuto è alla pari.
In ultimo, si esclude che l’associazione possa parlare di Vita Indipendente se non ha come fine la de – istituzionalizzazione. Con questo non s’intende solo l’emancipazione dai vari istituti di cura, pubblici o privati che siano, ma anche da tutte quelle situazioni intermedie certamente più vicine al concetto di abitazione che di casa di cura, ma non per questo meno discriminanti, qualora tendano ad isolare il soggetto, come le case famiglia, o i vari progetti di co – housing.