Questa dichiarazione, risalente al settembre 2003, si compone di una breve introduzione e di 24 punti, nei quali indica cosa, praticamente, si riassumono i punti salienti della Vita Indipendente (ovviamente questi principi debbono venire estesi a tutti i paesi).
I primi 4 punti affrontano il concetto di autodeterminazione, intesa come diritto fondamentale, che prescinde dal proprio stile di vita. Si asserisce la propria contrarietà verso tutte le forme di segregazione, affermando, con ciò, il pieno controllo su tutto ciò che riguarda la propria disabilità e i propri servizi di assistenza. Proprio per consentire tale autodeterminazione i finanziamenti devono essere pubblici.
Quasi tutti i provvedimenti italiani in favore della Vita Indipendente pongono un limite anagrafico: a volte 65 anni, a volte 67; mentre l’età minima per ricevere il contributo è 18 anni. In realtà questo è un principio pratico non molto coerente coi principi di Vita Indipendente, che dichiara, esplicitamente, che “Questi servizi dovrebbero essere destinati a persone con tutti i tipi di disabilità, di tutte le età”. Altra cosa non molto coerente è che l’assegno viene erogato in base al reddito, mentre questi servizi dovrebbero essere offerti indipendentemente dal reddito e dal patrimonio personale. Tuttavia, come detto, questi sono criteri pratici. E comunque c’è sempre (o meglio, ci dovrebbe essere) un livello minimo di finanziamento diretto.
In seguito, dopo aver affrontato il problema delle risorse e della loro utilizzazione, escludendo categoricamente il principio della mancanza di fondi (e comunque affermando nettamente che questa non debba essere una giustificazione per l’istituzionalizzazione), si passa alla descrizione del servizio di assistenza personale, alla sua finalità ed alla sua modalità di erogazione. Questo, si asserisce, “dovrebbe riuscire a mettere le persone disabili in condizioni di vivere una vita autodeterminata nella società, consentendo loro la massima partecipazione in tutte le attività umane”, e d0vrebbe coprire l’intero arco della giornata, protraendosi, se necessario, anche nei casi di emergenza.
Chiaramente il servizio di assistenza non è, come dire, “monolitico”, ovvero imposto seguendo una visione generica e astratta del concetto di indipendenza. Al contrario ogni assistente dovrebbe essere scelto da un elenco di assistenti personali, preparati dallo stesso disabile ai principi della Vita Indipendente. Questi possono anche essere diversi, e il rapporto di lavoro è privatistico. Il contratto può essere rescisso unilateralmente qualora il livello di assistenza sia ritenuto insufficiente dallo stesso disabile.
Infine il disabile ha la possibilità di scegliere anche un famigliare, se lo desidera.